Brexit: pioggerella o bufera in arrivo per il procurement automotive?
24 aprile 2019 - Sara Khazali

“Ma allora questa Brexit? Ancora tutto rimandato? Quindi che si fa?” Queste domande riecheggiano ormai da tempo nei corridoi di uffici acquisti di aziende operanti nel comparto automotive.
Come noto Theresa May, primo ministro del Regno Unito, ha prima “temporeggiato” durante la pausa natalizia, poi ha fissato il giorno 29 marzo 2019 ed infine ha ottenuto un altro slittamento. L’Unione Europea ha infatti esteso la deadline per la Brexit al 31 ottobre 2019, proroga concessa dai vertici europei dopo il colloquio avvenuto tra quest’ultimi e la Premier britannica. Il capo del governo inglese ha però dichiarato che “si potrebbe trovare un accordo interno anche prima del 22 maggio” (un giorno prima delle elezioni europee). Meglio appuntare ancora un bel “Brexit – TBD” in agenda.
Diversi settori produttivi si preparano ad affrontare rilevanti conseguenze. Tra la trentina di sinonimi che offre la lingua di Sua Maestà per descrivere la pioggia e la neve, è più opportuno parlare di leggera drizzle, di moderata shower oppure dobbiamo prepararci ad affrontare una lunga ed intensa blizzard?
Fra i comparti più interessati, vi è senza dubbio quello automobilistico, dove le conseguenze potrebbero essere devastanti per un bacino di 13,3 milioni di lavoratori, pari a ben il 6,1% della forza lavoro UE. A fornire queste cifre allarmanti è ACEA – acronimo francese per Association des Constructeurs Européens d’Automobiles – associazione che riunisce i 15 maggiori produttori di automobili, furgoni, camion e autobus in Europa.
ACEA intende porre i riflettori su una delle realtà industriali più esposte alle turbolenze della Brexit in quanto profondamente incastonata nella value chain con l’Unione Europea e i vantaggi del suo mercato unico, basti pensare che l’80% delle auto prodotte nel Regno Unito (parliamo di una trentina di stabilimenti tra produzione motori, trasmissioni nonché assemblaggio e produzione di veicoli interi) sono esportate oltremanica e la quota parte destinata ai Paesi europei sfiora la soglia del 60%.
In questo contesto di nuvole oscure che minacciano bufera, è indispensabile che il popolo dei buyer automotive si attrezzi considerando i possibili scenari ed impatti sul proprio specifico settore di acquisto.
Il cosiddetto “no-deal scenario”, ossia il mancato accordo sull’uscita del Regno Unito dall’UE, si tradurrebbe nella reintroduzione delle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e l’emergere di due principali incubi: lo spettro dei ritardi logistici, e la mannaia su marginalità e profitti.
Quanto al primo, il buyer riceverebbe da un lato le minacce di salatissimi addebiti del fornitore il cui camion è fermo da ore ed ore al porto prima di attraversare la Manica e dall’altro le urla dei colleghi dello stabilimento produttivo: “se entro le ore 08:00 di domani non arrivano i pezzi andiamo in run-out e buchiamo la fatturazione del mese!”.
Quanto al secondo, l’applicazione di potenziali costi aggiuntivi pari al 10% alle passenger car, al 10-22% ai veicoli commerciali e al 3-4% alla componentistica tra Europa e UK pone il buyer davanti all’ ardua scelta se far digerire questa percentuale al reparto vendite o se convincere il management all’ennesimo ritocco del budget stilato dal suo ufficio, effetti cambio a parte.
Al nefasto scenario brevemente descritto sopra si è affiancata recentemente l’opzione “Norvegia plus”: anche se fuori dall’UE, il Regno Unito resterebbe nell’unione doganale e nello Spazio Economico Europeo con possibile accettazione della libera circolazione delle persone, posto che accetti di non avere voce in capitolo nelle politiche commerciali europee.
Insomma, con l’avvicinarsi del fatidico 31 ottobre 2019 (per ora) si assiste ad un frenetico alternarsi di ipotesi catastrofiche ed ottimistiche; sebbene stilare un piano d’azione in questo turbinio di incertezze sia ardua impresa, è importante non focalizzarsi esclusivamente su aspetti di approvvigionamento specifici del settore, si getterebbe ulteriore benzina sui potenziali rischi di aumento costi già roventi per le aziende coinvolte.
Attenzione dunque all’andamento dei prezzi delle materie prime richieste nella produzione di auto e relativi componenti (acciaio, alluminio e rame per citare alcuni esempi più rappresentativi): anche in questo caso, è estremamente difficile poter prevedere con certezza in che modo la Brexit impatterà questi mercati, se avrà l’effetto di una breve pioggerella o di una lunga ed intensa bufera. Meteo a parte, “volatilità” è probabilmente il termine più adatto per inquadrare la situazione e, in base al grado di propensione al rischio della propria azienda, il buyer dovrà valutare strategie di coperture finanziarie a medio-lungo termine.
Allargando il perimetro di azione preventiva oltre i confini dell’approvvigionamento di materiali diretti, occorre che l’ufficio acquisti tenga d’occhio anche le forniture di gas ed elettricità impiegate negli stabilimenti produttivi.
In ambito automotive, le utilities incidono mediamente tra il 5% e il 10% sul prodotto finito. E’ ragionevole pensare che le aziende produttive e di componentistica automotive basate in UK siano più esposte rispetto a quelle dei Paesi europei.
Attualmente il 5% dell’energia elettrica e il 12% del gas in UK sono importati dall’UE; percentuali apparentemente non preoccupanti, ma in uno scenario di no-deal, il taglio con il mercato energetico europeo sarebbe netto con conseguente stop agli investimenti europei in infrastrutture localizzate in territorio britannico: porta spalancata ad un’impennata nei prezzi energetici dovuti ad insufficiente capacità in caso di condizioni meteo avverse (ondate di gelo o di caldo) o interruzioni non programmate degli impianti di produzione.
Insomma, non si conosce ancora l’entità, ma queste nuvole possono fare davvero parecchi danni. Il buyer non può limitarsi a stare fermo a guardare con apprensione dalla finestra, ma dovrà proteggersi con un adeguato piano di emergenza fatto di diversi strati e affrontare cosa ci sarà fuori.
Dialogo aperto ed onesto con i fornitori su tutte le possibili implicazioni, senza se e senza ma, comprendere a fondo quali sono le reali problematiche che andrebbero ad affrontare in caso di no-deal, che alternative proporrebbero e con quali tempistiche di implementazione. Valutare con attenzione la propria supply chain per individuare le aree maggiormente vulnerabili, riesaminare con il supporto legale gli attuali contratti di fornitura che potrebbero essere impattati dagli esiti della Brexit per studiare eventuali modifiche.
Non cambiare improvvisamente fornitore perché l’attuale è basato in UK si rivelerebbe controproducente in un contesto ancora non definitivo: preferibile optare per una distribuzione del rischio finanziario tra più fornitori, aumentare le programmazioni degli ordini verso i fornitori UK dei componenti più movimentati a medio-lungo termine.
Un maggiore bilanciamento tra import ed export targato UK operando su una minore dipendenza del Regno Unito dalle importazioni europee di componentistica automotive (mediamente “solo” il 41% dell’auto assemblata in UK è realmente “made in Britain”) agevolerebbe un’apertura verso scenari tariffari meno apocalittici di un no-deal scenario, con la speranza di mantenere l’attuale libera circolazione delle merci, sia che il Regno Unito sia in o out dall’Unione Europea.
Iniezioni di sterline in infrastrutture e forza lavoro qualificata potrebbero dunque contribuire ad incrementare le potenzialità della supply chain auto nel Regno Unito, continuando ad essere ancora appetibile agli stranieri.
Lo scenario norvegese citato sopra potrebbe rivelarsi quello meno doloroso in ambito acquisti, ma occorre essere pronti al peggio: meglio dunque essere adeguatamente preparati in caso di blizzard.
Difficile prevedere cosa accadrà ora: un secondo referendum? La rivincita dei Remain? Un nulla di fatto a due anni di distanza dal primo referendum? Nella migliore delle ipotesi, ci saremo solo coperti troppo e ci basterà togliere qualche strato, ma sicuramente non sarà “for free”.
“Resta di fondamentale importanza”, dichiarano i membri CLEPA (acronimo francese per Comité de Liaison de la Construction d’Equipements et de Pièces d’Automobiles – Associazione europea della componentistica automotive), “fornire chiarezza il più rapidamente possibile sul futuro rapporto con il Regno Unito, a partire da un accordo di recesso che eviti uno scenario al limite del precipizio”.
Questo è quanto sta avvenendo nel comparto automotive, sarebbe però un errore credere che sia affare solo per attori di questo settore. Infatti, queste dinamiche ci insegnano molto sugli effetti della Brexit in generale e simili conseguenze riguardano o riguarderanno molti altri ambiti. Drizzle o Storm che sia, consiglio di dotarsi di un ombrello bello robusto.