Torna all'elenco

Occupazione nel prossimo futuro: favola o incubo?

6 giugno 2019 - Maurizio Nascimbene






C’era una volta, come si direbbe nelle migliori favole, un mondo nel quale la società seguiva i ritmi della natura. Agricoltura, artigianato e commercio erano alla base dell’economia. Poi, nella seconda metà del Settecento, il settore tessile-metallurgico subì una trasformazione grazie all’avvento della macchina a vapore. L’uomo conobbe così la sua prima rivoluzione industriale. A questa ne fece seguito una seconda, un secolo dopo, quando l’elettricità, la chimica e il petrolio portarono un ulteriore profondo cambiamento nel modo di produrre beni di consumo. Infine, ve ne fu una terza, dopo altri cento anni circa, grazie all’introduzione massiccia dell’elettronica e dell’informatica.

Tutto questo, però, non è l’inizio di una fiaba, ma storia, facilmente reperibile in ogni manuale scolastico. Ognuno di questi eventi ha portato uno stravolgimento nei modi di vivere, costringendo l’umanità a reinventarsi e ad adattarsi alle nuove condizioni e ai nuovi ritmi che il progresso andava dettando per poter riconquistare la propria centralità nel processo produttivo.

Oggi, a cinquant’anni dall’ultima rivoluzione industriale, siamo di fronte a un nuovo momento di rottura che apre le porte a una quarta. Alla base di questo ulteriore balzo in avanti c’è la cosiddetta digital disruption, ossia il momento in cui le innovazioni digitali trasformano radicalmente il modello di business annientando il precedente. Certi cambiamenti sono già in atto (a volte persino da anni, senza che nemmeno ce ne siamo accorti) e altri più importanti e invasivi sono dietro l’angolo.

Secondo un report del World Economic Forum del 2016, il 65% dei bambini iscritti alla prima elementare farà un lavoro che ancora non esiste. Interi settori vedranno drasticamente ridursi la forza lavoro entro il 2020 (l’amministrativo e gli uffici, a esempio, perderanno quasi il 5%, mentre il manifatturiero l’1,63%).

Sotto i nostri occhi, stanno prendendo forma certe idee che sembravano uscire dalle più prolifiche penne di fantascienza: una su tutte, la guida autonoma. Prendiamo a esempio questa novità e leghiamola alla manutenzione predittiva (il veicolo, cioè, che si fa da sé la diagnosi dei guasti e monitora la sostituzione delle parti di ricambio). Da sole, queste innovazioni avrebbero il potenziale di spazzare via enormi quantità di posti di lavoro: se il guidatore non è più necessario, tassisti, conducenti di autobus e camionisti non avranno più senso di esistere (parliamo di quasi 80.000 persone, secondo una stima del solito World Economic Forum); se i veicoli si guideranno da soli, il consumo delle singole parti sarà meno invasivo (per via di un utilizzo più consapevole) riducendo il bisogno di ricambio e impattando, in tal modo, su tutta la catena logistica, dalla produzione del componente fino al montaggio in un’officina meccanica; la diagnosi predittiva renderà obsoleto l’odierno modo di pianificare l’approvvigionamento dei componenti (rivolto a osservare il passato) rendendo più snello lo stoccaggio delle parti e diminuendo gli spazi fisici necessari (e le persone addette a svolgere compiti all’interno di essi).

modellino auto

Insomma, la sola tecnologia dell’auto potrebbe spazzare via migliaia di posti lavoro (a leggere i numeri del già citato World Economic Forum, si potrebbero stimare oltre 100.000 buste paga, a voler essere ottimisti), e non è che una delle mille possibilità offerte dal futuro. Ogni settore ha il proprio rinnovamento, spinto dagli interessi congiunti della clientela, sempre in cerca di prodotti migliori a prezzi più vantaggiosi, e dell’imprenditoria. È nell’ordine delle cose. È nell’interesse di tutti.

Per fortuna, la storia ci insegna che l’uomo, posto di fronte a un bivio, saprà rinnovarsi come già fatto in passato.

O forse no?

Questo è uno dei punti cruciali, e probabilmente ancora non adeguatamente approfondito, di questa quarta rivoluzione industriale: potremmo davvero trovare l’ennesimo colpo di genio per adattarci a questo mutamento? In un futuro che si prospetta sempre più automatizzato e digitalizzato, dove tutto (o quasi) sembra essere possibile senza l’impiego di persone, ci sarà davvero lavoro per tutti? Se l’andamento di questi ultimi secoli ha dimostrato che il lavoro di mille può essere fatto da cento, che quello di cento può essere svolto da cinquanta, e così via in una sempre più serrata corsa alla riduzione, potremmo davvero pensare che la manutenzione e lo sviluppo delle nuove tecnologie abbia la forza di occupare tutti gli attuali lavoratori di oggi e di domani?

La risposta a queste domande, ora come ora, è ancora nel campo delle ipotesi. Occorre dire, con sincerità, che nessuno è davvero in grado, al momento, di affermare con sicurezza come sarà la nostra società fra dieci o vent’anni. Tuttavia, è bene iniziare a porsi simili quesiti non perché si voglia filosofeggiare sul concetto che il lavoro nobilita l’uomo e riflessioni simili, ma perché dietro a questa banale domanda rischiano di esserci innumerevoli famiglie senza reddito e quindi un numero crescente di poveri. A quel punto, sarà del tutto inutile avere un processo produttivo ultraveloce e con costi ridotti al minimo in nome di una massima redditività: se si ridurrà drasticamente il numero di coloro che potranno permettersi di spendere, il processo di sviluppo subirà un arresto e si piegherà su se stesso, come in un cerchio, in uno di quei corsi e ricorsi storici tanto cari a Gianbattista Vico.

smart home

Volendo allora evitare di ipotizzare l’incubo di uno Stato orwelliano che si prenda cura del sostentamento delle masse non lavoranti, oppure, al contrario, di inevitabili proteste o rivolte della popolazione con conseguenti rischi per la tenuta di uno Stato democratico, potremmo forse più ottimisticamente pensare che nel futuro continuerà a sussistere un’occupazione dell’uomo laddove le macchine, in quanto macchine, non potranno arrivare: cioè ovunque sia richiesta la fantasia, l’emotività, l’empatia, la creatività (perlomeno per come le conosciamo oggi). Pertanto, i nostri posteri potrebbero forse doversi indirizzare verso gli ambiti relativi alla qualità della vita, che siano essi legati al sociale, a una pura speculazione intellettuale o a definire un’altra rivoluzione poco importa.

Quello che conta davvero è progredire tenendo bene a mente che non c’è vero progresso se il protagonista di questa favola che è la Storia scomparisse dalla scena. Non c’è fiaba che si rispetti senza un lieto fine. Attenzione, però: il finale si costruisce sempre tramite le vicende che lo anticipano, pertanto sarebbe auspicabile che i Grandi della Terra aumentassero le percentuali di PIL oggi destinati a ricerca e welfare sul tema dell’occupazione odierna e del prossimo futuro. L’intelligenza artificiale sta facendo passi da gigante, e da qualche anno una macchina chiamata Shelley A.I. ha persino imparato a inventare e a scrivere in autonomia. Solo che non si tratta di favole, ma di racconti del terrore. È forse ora che anche l’intelligenza emotiva riesca a evolvere e a stare al passo con l’innovazione?