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Innovare la formazione: il boom esponenziale dei brevetti in Education Tech

13 settembre 2018 - Stefano Denicolai






Quando si affronta il tema dei cambiamenti radicali che stanno trasformando la nostra società una delle considerazioni che vede tutti gli esperti concordi riguarda la necessità di vivere l’apprendimento come un processo destinato a durare tutta la vita: in lingua inglese si parla di “lifelong learning” e saperlo gestire al meglio è una vera e propria sfida.

In Italia l’apprendimento permanente è stato codificato in “qualsiasi attività intrapresa dalle persone in modo formale, non formale, informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale” (legge 92 del 2012, articolo 4, comma 51).

E’ importante sottolineare, anche in questa definizione, la crescente apertura a percorsi di formazione “informale”, a testimonianza di un grande cambiamento in atto nei processi di selezione e assunzione del personale:

fa notizia di questi giorni un articolo di Quartz che segnala come una qualifica accademica non sia più una “conditio sine qua non” per l’accesso al processo di selezione presso le più importanti multinazionali, tra cui realtà come Apple, Google o IBM.

Lontano dal mettere in dubbio la formazione tradizionale, questo cambiamento non è altro che il segnale di un processo di selezione sempre più maturo ed efficace, capace di riconoscere al meglio le qualità del candidato sotto diversi profili, incluso quello accademico, indipendentemente da come queste sono state ottenute o maturate.

In un mondo quindi dove i processi di selezione puntano sempre di più alle reali capacità del candidato (mettendo in gioco tra queste anche dei “soft skill” fino ad oggi troppo spesso trascurati), l’efficacia dell’esperienza formativa diventa sempre più rilevante.

Se poi si prende in considerazione la necessità di aiutare persone che hanno qualche anno in più sulle spalle ad acquisire e fare proprie nuove nozioni e competenze, magari rimettendo in discussione abitudini consolidate o preconcetti maturati con l’esperienza, le dimensioni della sfida da affrontare si fanno ancora più chiare.

A sfatare il mito alla base del proverbio “you can’t teach an old dog new tricks” corrono in soccorso i tanti progressi nel campo delle scienze dell’educazione e della formazione andragogica degli ultimi decenni , che trovano poi i loro sbocchi nelle proposte formative più disparate, che spesso si avvalgono delle risorse tecnologiche più evolute a nostra disposizione in un difficile quanto affascinante connubio.

Se il sogno di imparare mettendo un libro sotto un cuscino per il momento resta tale, affascinano (e spaventano) gli studi sulla stimolazione elettrica del cervello ed i suoi effetti sulla qualità dell’apprendimento: il fermento in questo campo così importante per il futuro della nostra società ci appare evidente (come dimostrano anche i crescenti investimenti), ma resta difficile trovare una misura oggettiva della sua crescita.

Per farlo, appoggiandoci alla fonte ufficiale Orbis / WIPO, abbiamo voluto esaminare i brevetti in campo “education”: ne abbiamo rilevati 7210, di cui ben il 93% registrato dal 1998 al 2017.

evoluzione tech education

I grafici evidenziano un’importante crescita che subisce una significativa battuta d’arresto in corrispondenza del crash della bolla delle dot-com attorno al 2002, per poi riprendere slancio dal 2014, non solo in termini assoluti, ma anche nel rapporto con il totale di brevetti registrati nel periodo corrispondente.

La crescita esponenziale dei brevetti in questo campo corrobora con un dato oggettivo la percezione soggettiva ma diffusa di una crescente attenzione sulla materia.

Va sottolineato come molti brevetti – soprattutto negli anni più recenti – sono legati all’evoluzione altrettanto esponenziale degli algoritmi di intelligenza artificiale, che consentono di giorno in giorno lo sviluppo di applicazioni sempre più complesse.

Meno accessibile ai non addetti ai lavori è invece il dato sulla distribuzione geografica di questi brevetti:

RankingPaese% (totale)
1Corea del Sud19,5%
2USA6,7%
3Cina3,0%
4Taiwan1,6%
5Giappone1,1%
6Francia0,5%
7Canada0,3%
8Germania0,2%
9UK0,2%
10Olanda0,2%

In buona sostanza, 1 brevetto su 5 risulta registrato nella Corea del Sud, che a sua volta risulta 3 volte più prolifica in questo campo del secondo in classifica, gli Stati Uniti d’America.

Per contestualizzare questo risultato bisogna esaminare i dati che pongono la Corea del Sud da molti anni al vertice per scolarizzazione e qualità della formazione: stiamo considerando un sistema Paese che che fa di questo aspetto del vivere civile un cardine delle sue politiche di crescita e in cui in generale è presente una elevata pressione sociale a favore dei risultati scolastici.

Investimenti in education tech e relativi brevetti non sono automaticamente una garanzia di migliori risultati ed è bene ricordare come le tecnologie, una volta sviluppate, potenzialmente non hanno confini, ma uno sguardo al contesto del sistema Paese e all’importanza attribuita all’educazione aiuta a inquadrare meglio la classifica sopra riportata che, continuando a scorrere oltre alla decima posizione, vede l’Italia al 31esimo posto.

Magari nel nostro futuro ci aspettano davvero sistemi di apprendimento rapido come quello che ha permesso a NEO, protagonista del film Matrix, di affermare con ragionevole certezza “io conosco il Kung Fu” pochi secondi dopo il collegamento.

Da qui a quel giorno, ci viene richiesto qualche sforzo in più, ricompensato in primis dal piacere del sapere, “l’investimento che paga i migliori dividendi” (Benjamin Franklin).